"NO ALLA REPUBBLICA DELLE BANANE"

IL VIDEORACCONTO 

"Non siamo in svendita, no alla Repubblica delle banane". I primi graffiti apparsi sul lato orientale del muro, fino ad allora rimasto immacolato, esprimevano una protesta contro la corsa al consumismo che ha caratterizzato la conquista dell'Ovest nelle settimane immediatamente successive all'apertura del confine. Nel Diario Berlinese lo storico statunitense Robert Darton, in presa diretta, ha osservato come il frutto, un bene molto raro nella Repubblica Democratica Tedesca, sia ben presto divenuto un simbolo della messa in stato di liquidazione del paese.

Qualche giorno dopo il 9/11, infatti, un berlinese occidentale si piazzò accanto al muro con un enorme cesto di banane che prese a distribuire a ciascun berlinese orientale che attraversava il confine. La pressione della folla lo costrinse a lanciare le banane nel mucchio fino a quando qualcuno urlò ''Non siamo scimmie!''. Il fatto fu amplificato dalla televisione della DDR che mostrò una caricatura di un consumatore tedesco-orientale con un sorriso e un cetriolo in mano: ''la mia prima banana'' recitava la didascalia di un poster (allegare foto caricatura).

Le banane si caricano, quindi, di significati diversi. Vengono utilizzate tanto per denunciare la povertà relativa della Repubblica democratica incapace di garantire ai suoi cittadini una differenziazione di generi alimentari (allegare altre foto banane) quanto per evidenziare i rischi di una pura e semplice omologazione a stili e modelli di vita occidentali.

Secondo lo storico Jacques Rupnik a distanza di trent'anni è giunto il tempo di guardare a quanto accadde nell'89 nell'Europa dell'Est, considerandolo non come un evento epocale conchiuso ma come un processo, i cui antecedenti rimontano al 1956 polacco e ungherese e le cui conseguenze si prolungano fino a oggi negli equilibri politici di quei paesi e non solo. Il crollo del Muro ha assunto negli anni molteplici valenze simboliche: rivoluzione anti-utopica, emblema di una transizione non violenta alla democrazia, ma anche momento fondativo del mondo globalizzato. Tuttavia a trent'anni di distanza un muro invisibile esiste ancora.




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